Un’ala di gabbiano

Nettuno (Roma) |

È inevitabile riflettere su come il Covid-19 sia entrato nelle nostre case attraverso le fessure delle finestre o delle porte, successivamente abbia percorso tragitti talora tortuosi, talora lineari, talora lunghi, talora brevi in base all’atmosfera che si respira tra le quattro mura della propria abitazione, in base alla circostanza, in base allo stato d’animo del singolo. Quindi il virus penetra metaforicamente nel nostro corpo, dopo aver contaminato, contagiato, infettato pavimenti, tappeti, pareti, quadri, mobili, oggetti e raggiunge, così, il suo trono definitivo: la mente umana. È proprio lì, in quel luogo invisibile, intoccabile, impalpabile, che Lui trova la sua sede. Lì regna sovrano, nessuno osa contraddirlo, le sue parole sono insindacabili, poiché tutti ignoriamo l’identità del re che guida quei disordini, quei disorientamenti mentali. È Lui che capeggia quel caos di pensieri, quella crisi intellettuale dell’uomo nella sua totalità. È Lui che semina dubbio, incertezza, inquietudine, timore, collera per il fatto che siamo stati improvvisamente proiettati su una sottile corda in bilico, così di punto in bianco, colti dall’imprevisto, come se ci trovassimo in un sentiero ininterrotto oscuro, senza fuga, in cui non si vede a causa del buio, impedendoci di sapere cosa accadrà domani. Lui genera tempesta, un gran temporale dentro di noi, detta la successione di lampi e tuoni che ci offuscano la vista, ci stordiscono, ma non ne è consapevole in quanto è questo il suo linguaggio.  

In alcuni momenti del giorno la tempesta sembra placarsi. È il nido familiare che riesce a costruire il guscio di protezione su di noi, che riesce a resistere e a vincere il temporale. Spesso ci è capitato di sentirci soli, rinchiusi nella nostra dimensione ad ascoltare quel silenzio rintronante, a coltivare quella vena pessimistica che sembra avere il sopravvento, portandoci a considerare il tempo, che scorre inesorabilmente, come noia, quasi come tedio. Come se la nostra mente si convincesse che ogni azione sia nulla, non presenti uno scopo, non abbia alcuna prospettiva. È in questo preciso istante che si percepisce il sopraggiungere del temporale, inizia quel rimbombo perpetuo del tuono che innesca il caos nella sua forma più assoluta, più pura.

Ora mi sento, tuttavia, pervasa dalla vena pascoliana. Così tutto a un tratto! Echeggiano in me le parole, in un modo sempre più vivo e intenso, di una poesia di Pascoli, tratta dalla raccolta Myricae, che quando l’ho conosciuta per la prima volta mi ha enormemente impressionato. Si intitola “Temporale”. Ecco il testo:

Un bubbolio lontano…

Rosseggia l’orizzonte,
come affocato a mare:
nero di pece, a monte,
stracci di nubi chiare:
tra il nero un casolare:
un’ala di gabbiano.

Già la punteggiatura così ripetuta che mira a tagliare il periodo in frammenti, come se fossero schizzi, mette in risalto il nostro pensare quotidiano, altrettanto scandito, frammentato, quasi disordinato, a causa del temporale, ovverosia il vortice di pensieri inarrestabile, perpetuo, il quale è annunciato da un bubbolio lontano. Cerchiamo di combatterlo e ciò che ci dà forza è la fiamma della speranza che tenta di conferire quel vivo colore rosso all’orizzonte. Se il vortice acquista una potenza sempre maggiore, la speranza affievolisce, distrugge le illusioni mirate a superare l’ostacolo, e così appare abbattuta, come affocata. Se dallo stile pascoliano si evince un evidente gioco di contrasti tra elementi naturalistici distinti e i colori, il caos che si innesca nella nostra mente assume le connotazioni più vive. Quel casolare, citato dal poeta, oggi è sicuramente la nostra casa, luogo in cui ci ritroviamo imprigionati tra quattro mura, studiate e analizzate in ogni particolare, in ogni minima crepa e sfumatura di colore che dipinge le pareti. Molti sono gli uomini che si reputano convinti assertori del fatto che la nostra casa, più precisamente la stanza, camera in cui trascorriamo gran parte delle ore della giornata, sia una vera e propria gabbia. È una convinzione erronea, poiché è qui, nella nostra casa tra le braccia calde dei nostri genitori o di altre persone care, che ci sentiamo riparati dal temporale e, in generale, da tutti i mali del mondo. Sulla scia di Pascoli, avvertiamo di trovarci in un luogo di conforto, rifugio che è la nostra dimora, come se fossimo avvolti da quell’ala ampia di un uccello bianco, un’ala di gabbiano che placa quel vortice di pensieri che ci ha condotto in una dimensione ulteriore, mentale, immaginaria, nociva perché ci proietta in un sentiero ininterrotto oscuro. Ma ritorniamo al punto di partenza…

Focalizziamo l’attenzione nel secondo verso della poesia: “Rosseggia l’orizzonte”. Cosa si vede? Quale ideale ci porta ogni giorno avanti? Perché superare le tenebre quotidiane? Sicuramente la fiducia in un domani migliore, il sostegno dei tuoi cari, di quelle persone che ti danno forza, ti aiutano, ti fanno notare che la solitudine, che molte volte soffia forte su di noi, può essere abbattuta e che, soprattutto, è possibile fermare quel vorticoso e caotico movimento di pensieri, quel caos, quel temporale.

Beatrice Fiori, Liceo Scientifico “Innocenzo XII” di Anzio (Roma)

4 pensieri riguardo “Un’ala di gabbiano

  1. Sto cercando di rispondere a questo bellissimo post evitando di lasciarmi condizionare sia dalla mia lunga esperienza di prof sia dal mio antico e sempre costante amore per Pascoli e le sue Myricae. Tuttavia quando leggo: ” Quel casolare, citato dal poeta, oggi è sicuramente la nostra casa” non posso tacere come questa sia una delle più intense e esatte interpretazioni della poetica pascoliana (non solo di questa emblematica poesia). E che una giovane studentessa sappia dare parecchi punti a tanta critica pascoliana ci dimostra come sia corretto cedere il testimone. Quando si sa, come fai tu Beatrice, dare una interpretazione così interessante e rinnovante sia dell’esperienza dell’isolamento sia di un testo così complesso (ben oltre la sua apparenza) allora noi adulti dobbiamo dire che è vero che nulla sarà più come prima, e che i giovani sapranno dare vita a una realtà migliore.

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  2. La ringrazio delle sue parole, ricche di speranza e fiducia in un futuro migliore, retto dai noi giovani. Non mi aspettavo un riscontro di quanto ho scritto nel mio pezzo, pubblicato nel blog. Pensavo che sarebbe rimasto inosservato, forse col tempo messo nel dimenticatoio. Mi rincuora che c’è stato qualcuno che abbia veramente colto in pieno il messaggio che volevo trasmettere al lettore e abbia lasciato un commento. Sono contenta di aver lasciato una traccia di me in lei. Comunque, credo che in questi giorni difficili gran parte di noi, o forse tutti, si stia riparando nell’incantato regno della fantasia, che sia delle lettere, dell’arte o quant’altro, che ognuno di noi custodisce dentro di sé. Concludo la mia risposta, rivelando come la poesia pascoliana “Temporale” sia stata fonte di ispirazione per il mio pezzo: scrivendo per il blog, in particolare quando stavo descrivendo le sensazioni che provavo nella mia casa nel pieno di una pandemia, mi sono sentita riparata, protetta tra le quattro mura della stanza come avvolta da un’ala di gabbiano.

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  3. Vedi Beatrice ti ho dovuto rispondere 🙂 anche perché nelle tue giovani parole sai evocare proprio quel rifugio di cui tutti abbiamo bisogno, ma che per i giovani è quel luogo dove difendere qualcosa di più delle speranze: i progetti di una vita ancora tutta da svolgere, da dipanare lentamente.
    Chi sa conservare quel rifugio non ha fugge in avanti, ed anche per questo gusta il presente nonostante tutto e riesce a vederne le sfaccettature che sfuggono a chi ha fretta.
    E’ proprio come scrivi tu, siamo al riparo: “nell’incantato regno della fantasia, che sia delle lettere, dell’arte o quant’altro, che ognuno di noi custodisce dentro di sé”.

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